LA VITA IN GIOCO
Un asso è solo come un cavaliere
dentro ad un’imboscata.
Le mani dell’avversario mischiano la sorte
il destino a turno fa la sua parte.
Ricevo i tre doni, li afferro,
come si tiene in su qual che di sacro,
e poi o raggelo e resto macro
o mi sorge criptata la gioia;
In fondo al campo sta in disparte il re,
sa bene la battaglia molto accesa.
L’insidia è pronta, la tattica ordita
vive dentro il disegno di stratega
che compi ad ogni movimento avverso.
Un attimo hai vinto, un altro perso.
Il sillogismo del da farsi rima
con la massima visione ch’hai dell’altro.
Chi lo capisce è scaltro
e porterà vittoria a proprie schiere
se accerchia con regina, torre e alfiere.
Così la vita, perché tu la curi,
cade vittima dei colpi di fortuna
o, se ci credi, aderisce al sogno
che in qualche parte dell’immenso aduna
il Semprevivo. Niente può sfuggire
a questo gioco verso l’imbrunire
che ci darà della partita il segno
e cambierà ciò che facemmo in pegno.
UN PENSIERO SCOLASTICO
Se vita è quella dei falsi profeti
che irradiano le tesi del superfluo,
vuoto è lo spazio, vano il tempo, amore
è illusione che non dura un tradimento,
io, davanti a sì fatte ragioni,
non tacerei oramai più le libagioni.
Eppure l’uomo oggi vola e inventa,
cammina sulla luna, s’argomenta,
sfrenatamente vive senza legge
che non il proprio utile ed il bello
cercando solo di dimenticare
che cosa il caso mescoli infelice.
E come, se tutto ciò può fare,
oblia quale scuola è la Scolastica?
Così prono su l’erba
mentre la vostra idolatria rifulge
falba al tramonto tutta s’azzima
l’alma natura poco fuori Roma
dove l’odor di mare ancora arriva
e le prime facelle vengono a svernare.
Così mi chiedo: Che doni sono mai?
La lattescente amica delle ombre,
l’incandescente lampada, il vetro
dei cristalli scintillante,
il fiato che mi gela.
E di queste miglia umane a me non resta,
di queste miglia che una falcata
è cento volte ogni nostra corsa,
il mio piangente riso.
Cosa mi sei allora, tu, universo,
che oltre quell’azzurro hai l’infinito?
(Credo forse di avere tal certezza
da prima ch’io, semmai, venissi al mondo.)
Che l’oggi fugga è un triste pensiero
ma al saggio la clessidra stabilita
è sufficiente se il suo bello è il vero.
Che cosa sei mai, quindi, mia ora,
se vivo tra tutti questi segni eterni?
Soltanto un’alchimia
prodotta in serie per le menti prive
di tutto ciò che buono e giusto vive.
Perciò di voi, mentre la notte scende,
e l’anima mi vola verso i viali
mentre tramate tutto il vostro odio,
io ho per voi, fratelli, compassione,
e sento in cuor dolcezza di perdono.
CANZONE DELL’ETA' PIU' VERDE
Se fossimo al tempo degli antichi,
quando d’Egitto, Israele o Grecia,
di Alessandro o Cesare si aveva
lunga memoria di recenti imprese;
o dell’astratte cose e le concrete
e dell’assurde si contavan gli astri
nelle assemblee, nei templi,
nei versi dei poetastri
sempre l’abbecedario
era croce al discepol refrattario
ma il mio mestiere si teneva
in onore al re, pur se perdeva.
Oggi che altra civiltà è sorta
molto dell’uomo è cambiato il cuore
e più non si va per quella porta
ove il sudar de’ fogli era migliore
né di retorica o di usar favella
non v’è chi curi e lascia alla burella
ché come errare viene
così il regolarsi si conviene.
Io spesso, quando passo i giorni miei,
dentro un’aula a far libri opportuni
a più che due dozzine di figlioli,
crescer sento che il rispetto cala
e nullo il senso delle cose onesto;
così che per leggere di Omero
o per parlar del verbo o della Terra
io che sia pace e guerra
che il bene, l’amicizia, il vero amore,
il sogno, la sottile differenza
tra il grave solco di reità e innocenza,
annuncio con passione.
E sempre dico, quando i brescianini
odo parlar dell’ignoranza patria:
“Ragazzi, se noi siamo in Italia
e se l’Italia è fatta di Italiani
e qualche buona parte di stranieri,
di chi sarà la colpa del suo stato?”.
E dico ciò in classi in cui l’arabo
convive col moldavo e col cinese.
A volte sembra il mondo che vorrei
se non fosse per chi l’odio propaga.
E quelli, cui il vero
ancor non san schermire di parole,
ammettono il pensiero.
Oppure quando poi cade battuta
su se sia loro età pien di vaghezza
io chiedo pur: “Cos’è per voi bellezza?
È qualcosa che passa o che resta?
Prendiamo amore: se uno un dì vi illude
e nel domani poi presto vi lascia,
ha bel gesto compiuto? Di che ha nome?
Ebbene voi pensate che un ragazzino
vada verso Giovanna, la corteggi,
e passando il tempo accanto sempre sia;
questo dirlo possiamo vero amore!
E non è meglio che nel cuor ci stia?”.
Ma tale argomento è troppo vasto
perché vi sia ragion prima del pasto.
In essi mi rivedo, come figli,
in essi che non hanno alcuna colpa
che avere genitori indaffarati,
alcuni senza modi, altri cervello.
E se ogni tanto esternano disagio
è perché son perduti in gran tempesta,
in società dal consumo folle
che non s’avvedon come il petto è molle.
Più che giudizi o scartoffie varie,
più che diagnosi di che sia il millennio
un cardiologo serve, bravo, eterno
che spieghi l’uomo
e che ristabilisca quel principio
che vale al deputato e al villanello.
Giacché, a volte, se si legge “Cuore”
e c’è il faceto che pare sorrida
fermo affermando: “Come noi leggemmo,
avevo vostra età e occhi di pianto,
oggi per voi non c’è altra lezione
che fare l’abbondanza degli stolti?”.
Come se fossi il maggior fratello.
Motteggiato che ho, in me echeggia paura
se “di che pianger suoli” a mente sale
e l’inquietudine di non saper morale.
Perciò in questi tempi, in questo mondo
in quest’Italia cui noi siamo ingombro,
ogni mattina, puntuali e mesti,
come anime vaganti in Malebolge,
alcuni tra le schiere dei docenti,
cercan di strappar valori e canti
facendo ragionar chi dalla tele
trae tutto il suo sapere
e quasi pensi null’altro gli serva
per viver bene in questa Babele.
Ché, anzi, i più scellerati e furbi
vanno in trasmissione e sono ricchi.
E se ricchezza è un valore sacro
che il genitore ha chiarito spesso
è normale poi che ciò li turbi.
A me sconforto e pena è un simil modo
ma come dice “chiodo scaccia chiodo”
se sento un alunno esser brillante
son lieto come ritrovar diamante.
E prendo speranza e in fin confido
che in fondo anche Alberto era brigante,
forse forse anche Forese e Dante,
io stesso e qualcun dei miei, e penso
che intelligenze azzurre alcuni avranno
e un dì Platone e Fedro insegneranno.
Io so che al mondo, qui, chi dice il vero
è sempre ritenuto menzognero;
ma in ciò mi scusa mia natura,
educazione, mente e conoscenza.
Perciò, canzone, tu avrai coscienza
d’andare presso chi non si vergogni
di quel che vuole esser atto illustre
ché per un prof è amore che s’agogni
punire accidia perché faccia industre.
Vito Lorenzo Dioguardi
pubblicato il 17.05.2013 [Poesia]