Tutto era andato male quella mattina: Wond era stata interrogata in geografia intergalassiale e non aveva saputo rispondere a nessuna delle domande e aveva litigato con la sua compagna di banco, Zonda.
Finalmente era tornata a casa, al sicuro tra le mura di plexiglass. La mamma non era ancora rientrata dal lavoro, Wonda pranzò con un frullato multivitaminico rosa, quello dolce e ricco di glucidi, che i genitori non vogliono far bere spesso ai figli, e se ne andò nella sua stanza. Voleva giocare con le bambole: era ancora una bambina di centosette anni. Si sedette sul tappeto nella sua cameretta e cercò il suo pianeta. Eccolo sotto la scrivania, doveva avercelo messo per dispetto suo fratello. Era proprio carino, pensò osservandolo, era azzurro e verde, con tante isole sparse quà e là. Quello di Zonda, ad esempio, era rosso e caldo, con un sacco di cerchi attorno alla circonferenza ed era abitato da esseri microscopici e gelatinosi. E poi c'era quello di Gonda, azzurro tenue e coperto di ghiacci, popolato da serpentelli salterini. Ognuno poteva crearsi il proprio pianeta, bastava acquistare il kit di creazione contenente un nucleo magmatico, aspettare qualche giorno che le prime forme di vita nascessero e via via aggiungervi i particolari venduti separatamente. I personaggi in commercio erano numerosi ed ogniuno aveva le proprie preferenze in abitazioni, flora, fauna, cibi, ambiente in cui vivere.
Wonda aveva scelto dei quadrupedi pelosi che col tempo e la sua fantasia si erano sviluppati fino a divenire bipedi glabri, per proteggerli dal freddo aveva iniziato a vestirli con stracci che nel giro di qualche anno si erano trasformati in abiti veramente graziosi.
Era orgogliosa del suo mondo e trascorreva ore giocandoci, finchè si accorse che il suo corpo stava crescendo: i suoi tentacolini rosei si erano allungati ed erano diventati color porpora, la sua saliva non profumava più di zucchero, ma di qualcosa di più forte, come di frullato avariato. Ne era rimasta scioccata. Sapeva che sarebbe dovuto accadere, ma non immaginava così presto. Ad alcune sue compagne i tentacoli avevano già iniziato ad arrossarsi l'anno precedente, ma pensava di dover aspettare ancora qualche anno prima che accadesse anche ai suoi.
Aveva iniziato a sentirsi a disagio, l'esoscheletro le stava stretto, i tentacoli le prudevano, la saliva le fuoriusciva a fiotti ogni volta che apriva bocca. Era arrabbiata perchè non le piaceva il cambiamento avvenuto al suo corpo e sfogava la sua frustrazione su tutto ciò che la circondava, in particolare sui suoi genitori. Spesso esprimeva la sua rabbia anche quando giocava con il suo pianeta: all'inizio schierava eserciti di abitanti rosei uno contro l'altro e stava a guardarli sghignazzando mentre si ammazzavano l'un l'altro. Con l'accrescersi della rabbia quelle piccole scaramuccie non la soddisfavano più. Iniziò a distruggere città e popolazioni, sterminare interi popoli, fomentare guerre tra nazioni che duravano giorni interminabili e terminavano solo con l'eliminazione di entrambi i contendenti. Creò folli condottieri suicidi, capi di stato perversi, popoli assetati di sangue e ricchezze, scandali internazionali, malattie mortali...
Il giorno precedente aveva distrutto un intero continente dopo averlo flagellato per settimane con epidemie, guerre e scandali, e ne era molto soddisfatta.
Quel pomeriggio, però, ci voleva di più: era stata una giornata orribile, la rabbia era incontrollabile, i tentacoli le prudevano da impazzire, gli zuccheri del frullato rosa circolavano in entrambi i suoi apparati vascolari...
Prese il suo pianeta verdazzurro e lo lanciò in aria. Lo avvolse con un tentacolo e se lo portò all'altezza degli occhi, lo fece girare piano su se stesso. La disgustava. Era stato il suo giocattolo preferito per anni, ora non era altro che una distesa di campi di battaglia e rovine. Non lo avrebbe usato mai più, lo sapeva. I suoi tentacoli ormai erano porpora, la sua saliva abbondante e appiccicosa: era cresciuta. Lasciò cadere il pianeta sul pavimento. Il globo rotolò sul pavimento di plexiglas, Wonda vide le città abbattersi scosse da un terremoto, un'onda sommergere le isole e un iceberg grosso quanto un continente staccarsi da uno dei poli.
Le lacrime le pungevano i sette bulbi oculari. Aveva preso un non classificabile in geografia intergalassiale e, anche se lei non lo avesse detto ai suoi genitori qulla sera, lo sarebbero venuti a sapere presto dalla maestra. Sicuramente si sarebbe presa una bella ramanzina e un castigo...
Diede un calcio al suo pianeta e lo mandò a sbattere contro una parete di plexiglass. Altri due continenti erano stati distrutti. Wonda sentì le urla degli abitanti: anche se si credeva che fossero solo bambole, spesso gli aveva sentiti parlare. Si avvicinò al pianeta, dai suoi sette bulbi oculari le lacrime cadevano copiose. Il pianeta ne fu inondato, le isole furono sommerse, i corpi dei piccoli abitanti galleggiavano sui mari. Piangeva forte, era adirata e triste. Colpì il pianeta con tutti i suoi tentacoli finchè udì un'esplosione: il pianeta era distrutto. Wonda osservò quel che rimaneva del suo pianeta: un cumulo di ceneri.
Era arrivato il giorno dell'autodistruzione, il momento in cui una femmina di Alfabix distrugge il proprio pianeta per segnare la propria entrata nel secolo della pubertà.
Con un tentacolo Wonda si asciugò le lacrime e guardò per l'ultima volta il suo pianeta, o meglio, ciò che ne restava. Attivò il dispositivo di autopulizia della camera, la ventola aspirante risucchiò la cenere.
"Addio pianeta Terra" sussurrò Wonda tirando su il muco con le tre proboscidi.
Emma Ortis
pubblicato il 03.03.2013 [Testo]