Non è vietato giocare nel cortile capitolo II
Le ore del pomeriggio passarono in qualche modo, Amedeo come i suoi cugini Giuseppe e Fermando si era recato al doposcuola di zia Giorgia, dove avrebbe svolto i compiti.
Dopo aver finito tante pagine di espressioni, analisi grammaticali, imparare Tiro e Sidone, era suo compito aiutare la zia. Amedeo doveva far ripetere pagine di storia, scienza, geografia, poesia agli altri ragazzi presenti nel doposcuola. La sua approvazione sancita dal consueto: “Va bene, puoi andare”, costituiva il primo passaggio verso l’esito finale tanto agognato dai presenti. Infatti dopo i compiti orali venivano fatti i compiti scritti sul quaderno di brutta, la ricopiatura in bella copia, controllata talvolta anche dai nipoti di zia Giorgia, infine c’era l’uscita verso la libertà. Ci pensava, comunque, la zia a controllare se gli studenti svogliati avessero appreso decentemente le lezioni orali. Alcune volte il passaggio finale saltava per mancanza di tempo, Amedeo si trovava, in questi casi, detentore di un potere assoluto. Lui cercava di essere inflessibile, ma alcune volte un piacere all’amico Giacomo non lo si poteva negare, anche se non conosceva proprio bene l’andamento della guerra contro i Sanniti. Le ragazzine più grandi, inavvicinabili dai coetanei e dai ragazzi più piccoli, dai seni che già affioravano come piccole sommità dalle magliette e dai discorsi tremendamente seri, gli facevano gli occhi dolci e lui in cambio di qualche manina posata sopra la maglietta intima, cedeva e dava il suo consenso alla conoscenza orale della lezione. Tra questa ragazze, c’era anche Maria Vittoria, alta, bruna, seni terza misura, capelli lunghi e neri che le scendevano sulle spalle. Aveva solo tredici anni, ma era già una piccola donna in miniatura. Lui non resisteva al suo sguardo e alla lingua che gli accarezzava l’orecchio e poi il collo. Amedeo, a quel punto, diventava tutto rosso e quasi spaventato si allontanava dalla ragazza, pronta a sorridergli in modo malizioso. Tutto rosso si rifugiava sotto la fontana dell’acqua, cercando di soddisfare una sete che non aveva.
Maria Vittoria era molto bella e Amadeo aveva tanta simpatia per lei, la ragazza nel chiuso della cucinetta gli raccontava le sue prime esperienze amorose estive, i primi balli lenti, i baci con la lingua dati ai ragazzi più grandi. Amedeo diventava un po’ geloso, poi gli passava. Non aveva le idee chiare a proposito, le ragazze per adesso non gli interessavano molto, meglio leggere i libri a fumetti di Topolino o le tristi avventure di Oliver Twist.
In quelle ore pomeridiane ad Amedeo era toccato un compito arduo e snervante: far ripetere la lettura ad uno di quei bambini di seconda elementare. L’operazione non era semplice: bisognava leggergli per tre volte la lettura, leggerla assieme un paio di volte, leggere consonante e vocale insieme ed infine leggere per intero tutta la parola. La lettura si svolgeva con una lentezza esasperante, nello stesso tempo il dito o la matita doveva tenere il segno sulla pagina. L’attenzione del bambino doveva mantenersi costante e sovente bisognava richiamarlo all’ordine. A questo scopo erano indispensabili schiaffetti, tirate di orecchie o pizzicotti nelle gambe.
Amedeo doveva anche mantenere l’ordine in uno dei due tavoli laterali, dato che al tavolo più grande sedeva sua zia Georgia circondata da un nugolo di ragazzini di età variabile dai sei ai nove anni, passando con una velocità cerebrale sconosciuta ad un normale impiegato della circoscrizione, dalla lettura di un testo in francese alla risoluzione di un problema di geometria. Ai suoi piedi stava un braciere. Ad ogni lato era disteso una gatta femmina chiamata Carolina, dal pelo marroncino chiaro, l’altro era un maschio più piccolo, nero con la pancia bianca. Era Briciola. I due gatti sonnecchiavano, pronti ad aprire un occhio se venivano toccati per gioco dal piede di uno dei tanti ragazzini che aspettavano il proprio turno per essere interrogati. La zia Georgia guardava ogni tanto l’orologio, la partita si stava già giocando allo Stadio Olimpico di Roma, soffriva per il suo Giacinto, unico sopravvissuto all’epurazione dei messicani dopo il fallimento del mondiale in Germania del 1974. Il portiere di riserva era il giaguaro Castellini del Toro e non, come lei aveva sperato, Ivano Bordon, l’eroe di Berlino, dove aveva parato un rigore a Sielof nella ripetizione della partita contro il Borussia Moenchengladbach, dopo il lancio della lattina sulla testa di Boninsegna. Grande era stata la difesa ad opera dell’Avvocato Prisco, quando la zia raccontava il lancio della lattina di coca sulla testa del centravanti ai ragazzi del doposcuola, la maggior parte milanisti o juventini, aveva la voce commossa, sentendosi un nuovo Omero seduto ai piedi del sovrano che lo ospitava, pronta a narrare le gesta di Mazzola, Jair, Burgnich e Giubertoni durate l’assedio alla porta del giovane portiere nel campo pieno di nebbia di Berlino Ovest.
michele
pubblicato il 28.02.2014 [Testo]