Alcuni eventi ai quali fa riferimento questo racconto sono realmente accaduti. (n.d.a)
Riccardo sterzò improvvisamente a destra e accostò con una brusca frenata al marciapiede. Con il motore ancora acceso appoggiò la testa al volante e chiuse gli occhi. Cercava di respirare profondamente per respingere la nausea che lo aggrediva causata dalla paura. Avvicinò la mano alla chiave nel quadro e spense il motore. Rimase per un tempo indefinitio con lo sguardo nel vuoto. I pensieri si ammassavano nella sua mente ma nessuno aveva un inizio e una fine. Nessuno portava a qualcosa. Il traffico caotico di Roma gli scorreva accanto, ma lui si sentiva solo nel nulla. Voltò lo sguardo verso il sedile del passeggero dove erano adagiati in una cartella i risultati delle analisi. Trovò grottesco che in quei pochi fogli, stampati da chissà quale computer di chissà quale laboratorio medico, c'era scritta la risoluzione della sua esistenza. A 42 anni qualcuno aveva deciso che la sua storia era giunta al termine. Titoli di coda e fine dello spettacolo. Cercò di riacquistare lucidità. Si asciugò gli occhi umidi e si accese una sigaretta. D'istinto pensò quello che pensava sempre quando ne accendeva una...'Non dovresti...sei un fesso.'. Ma si rese subito conto che, ormai, non faceva nessuna differenza. Aspirò una boccata di nicotina e si adagiò sul sedile. Ora doveva pensare. Pensare a tutto quello che restava da fare. Alle cose che avrebbe dovuto sistemare prima di... 'Dai a te stesso puoi dirlo...'. Ok...prima di morire.
La sua mente corse subito alla sua famiglia. Sua moglie era una donna forte e ce l'avrebbe fatta. Con dolore, ma probabilmente ce l'avrebbe fatta. D'altronde era ancora giovane, aveva 42 anni come lui. Ma i suoi figli? Il pensiero di lasciarli, di non poterli mai piu vedere, toccare, abbracciare gli procurò un dolore mai provato prima. Cosa doveva fare? Cosa avrebbero fatto loro? La più grande, Simona, era al primo anno di architettura. Spesso passava le notti con lui, seduti in cucina bevendo del tè e a parlare. Lui era felice in quei momenti. La guardava. Era diventata una bella ragazza. Bella come la madre e lui ne era orgoglioso. Spesso guardandola pensava a quando, da piccola, la faceva salire sulle sue spalle perché era stanca di camminare. A quando si addormentava in macchina la sera al rientro da una gita e la portava in braccio sino nel lettino. La sua bambina. Ora era lì . Alta un metro e settanta con profondi occhi scuri e tanti capelli neri che le avvolgevano il viso delicato che parlava con lui di esistenzialismo. Pensò quando lei, a 13 anni, uscì con lui indossando per la prima volta nella sua vita una minigonna di jeans. Ricordava ancora lo sguardo di quel vecchio ciccione che si era fissato sulle cosce di sua figlia e di come, in quel momento, si era sentito un potenziale assassino. Sorrise. La sua bambina...L'idea di non averla più era insopportabile. Quando il pensiero passò al piccolo di casa, Luca, che aveva 5 anni non riuscì più a trattenere le lacrime. Non poteva abbandonarlo così piccolo. Con chi avrebbe fatto a lotta sul lettone? Lui aveva ancora bisogno di suo padre...'O sei tu che hai bisogno di lui?'. Voleva urlare. Urlare per cacciare via il dolore, l'angoscia, la malattia e la morte. Ma non sarebbe servito. Quel che era fatto era fatto ormai. Si asciugò di nuovo le lacrime con le mani e cercò un fazzoletto di carta nella tasca dello sportello. 'Dai....La tua famiglia ti aspetta...Vai a casa...'. Si accinse a mettere in moto l'automobile chiedendo a se stesso se qualcuno, qualcosa, gli avrebbe mai concesso una seconda opportunità. Una risata gli usci dal petto. 'Sei proprio un coglione....Un ateo come te che chiede qualcosa a chissà chi...'. Sorridendo istericamente girò la chiavetta nel quadro ma la macchina non diede nessun cenno. Riprovò. Ma non successe nulla. Rise ancora...'Non vorrai morire prima di me? ' pensò rivolto alla sua automobile. Dopo una decina di tentativi capì che non c'era nulla da fare. Constatò che era proprio una giornata di merda. Guardò l'orologio. Erano le 17.16. Si trovava in piazza Sonnino, a Trastevere. Avrebbe attraversato il ponte e preso un autobus. Con un sospiro aprì lo sportello e scese dalla vettura. Si aggiustò la cravatta ed indossò la giacca ed il cappotto. Chiuse l'automobile e si guardò intorno per cercare un tabaccaio dove acquistare il biglietto dell'autobus. Ne vide uno dall'altra parte del viale e si accinse ad attraversare la strada. Si fermò sul marciapiede spartitraffico per il sopraggiungere di un tram. Era il 13. 'Il 13 ? Ma sono anni che non esiste piu il 13 !' Attraversò l'altro tratto del viale e si diresse verso la tabaccheria. Ma mentre si avvicinava vide il gestore uscire e abbassare velocemente la saracinesca come spaventato. Si affrettò per paura di non riuscire ad acquistare i biglietti in tempo. Mentre correva aprì la borsa di tolfa che aveva a tracolla per cercare il denaro. 'La borsa di Tolfa?...'. Si fermò ed abbassando lo sguardo si osservò. Gli scarponcini 'Clarke' spuntavano dalla scampanatura dei jeans a zampa d'elefante. Il maglione peruviano con disegni 'andini' e la giacca di renna acquistata al mercatino di via Sannio per 500 lire lo tenevano caldo insieme alla lunga sciarpa rossa che gli avvolgeva il collo. 'Ma come cavolo...'. Non riuscì a finire il suo pensiero perché il rumore assordante che proveniva da ponte Garibaldi lo fece voltare. Il fumo bianco dei lacrimogeni avvolgeva una metà del ponte e migliaia di ragazzi stavano correndo verso viale Trastevere, esattamente nel punto dove era lui. Si sentivano urla e sirene della polizia. Si poteva leggere la paura nello sguardo dei ragazzi. La confusione era totale. Gli occhi già iniziavano a bruciare a causa dei gas. Il suo cuore era fermo. Era tutto così assurdo. Assurdo sopratutto perché sapeva esattamente cosa stava accadendo e quando stava accadendo. Era follia. Forse stava diventando pazzo. Eppure era lì . Dove era già stato venticinque anni prima. Nello stesso istante. Lui sapeva dov'era. Non nello spazio ovviamente, ma nel tempo. Era il 12 maggio 1978, avrebbe compiuto 17 anni tra un mese ed era alla manifestazione nazionale studentesca. Sapeva esattamente cosa stava accadendo. Era impietrito. Non riusciva a connettere. La gente intorno a lui correva e gridava. L'ululato delle sirene era assordante. Si poteva respirare, quasi toccare, il panico. Corse verso il ponte. Non razionalmente, ma istintivamente. Andava contro la corrente di ragazzi che fuggivano dalla polizia. Alcuni che incrociava gli urlavano di scappare, ma lui proseguiva. Non provava paura. Perché sapeva che quella sera di venticinque anni prima era tornato a casa sano e salvo. Lui era tornato sano e salvo. Ma lei no. Corse più svelto. Cercando, tra la folla che fuggiva, quel volto che ancora ricordava e che poi aveva visto mille volte in fotografia...Sui giornali. Iniziò ad urlare il suo nome
- Doriana!!!!!!!! Dorianaaaaaaaa....-
Tra il fumo e la gente intravide una ragazza. I capelli castani e lisci lungo le spalle. Il volto adolescente di una sedicenne. Il terrore negli occhi mentre fuggiva da quella che, tra pochi attimi, sarebbe stata la sua morte. Riccardo corse verso di lei che era ancora a metà di ponte Garibaldi. Ed improvvisamente i rumori sparirono e tutto si mosse al rallentatore. In un silenzio assordante la vide chiaramente correre in preda al panico. Sempre molto lentamente, attraverso il fumo, al di là del ponte, scorse la sagoma sfocata di un uomo in divisa che alzava il braccio inpugnando una pistola. Era distante...Ma lui poteva vederlo. Urlò a Doriana di gettarsi a terra. Ma la voce non usciva. Era in un incubo senza sonoro. Vide una sbuffo di fumo uscire dalla canna della pistola senza sentirne il rumore...Improvvisamente sentì di nuovo. Tornarono tutti i suoni e i rumori. E lui stava urlando con tutto il fiato che aveva in corpo.
- Nooooooooooo !!!!!! -
Il vigile urbano che bussava al finestrino della sua automobile lo fece sobbalzare.
- Non può sostare qui signore. -
Riccardo si ritrovò aggrappato al volante sudando freddo. Impiegò diversi secondi a capire...Coordinarsi...
- Mi ha capito?.....Si deve levare da qui! -
Riccardo fece un cenno di assenso senza riuscire a parlare. Mise in moto la macchina che si avviò subito. Guidando verso casa si sentiva come fosse stato centrifugato dentro una lavatrice. Era tutto così pazzesco. La sua testolina stava dando i numeri? E' così che reagisce il cervello sapendo di essere prossimo alla fine? Eppure era stato così reale. Il dolore della morte di Doriana, studentessa, sua coetanea, uccisa dalle forze dell'ordine con un colpo di pistola alla schiena il 12 maggio 1978, si era rinnovato in lui. Riccardo era lì quel giorno....E l'aveva vista cadere colpita. Aveva pianto pur non conoscendola. Aveva sentito la rabbia bruciargli dentro. E, come al solito, aveva sentito le menzogne nelle dichiarazioni dei politici e degli organi di polizia. Alla fine nessuno aveva pagato. Chissà come sarebbe stata la vita di Doriana se non fosse morta quel giorno su quel ponte. Solo in quel momento si rese conto quanto quell'evento lo aveva segnato. Come si era sentito impotente. Perché si era ritrovato lì ? Stava impazzendo o era successo veramente? Era stremato. Guidava lentamente verso il quartiere dove abitava. La sua giornata era stata decisamente pesante. Si doveva ricomporre ed entrare a casa con il sorriso. Nessuno avrebbe dovuto ancora sapere della sua malattia. Nessuno.
Aprì la porta di casa cercando si essere il più possibile 'normale', in attesa dell'assalto del suo piccolo e del bacio delle 'sue donne' come le chiamava lui. Rimase deluso. Non c'era nessuno. Strano che fossero uscite senza nemmeno fargli uno squillo al cellulare. Si tolse il cappotto e si lasciò cadere a sedere sul divano. Cercava di razionalizzare gli eventi di quella giornata...Ma gli riusciva impossibile. Improvvisamente la sua attenzione si focalizzò sulla serie di fotografie che erano incorniciate e poggiavano sui ripiani della libreria. C'era qualcosa di diverso. Si alzò con fatica e si avvicinò. Lui abbracciato a sua figlia. La loro foto migliore. Lui con sua moglie. Scattata durante una vacanza in Austria molti anni prima. Il piccolino ad un anno lo fece intenerire come accadeva sempre. Sua figlia laureata...Laureata!!!!??? Ebbe un giramento di testa. Simona era al centro della foto con la toga e la laurea in mano, sua moglie a destra e lui a sinistra. Ma...Più vecchi. E poi un ragazzino accanto a lui...Dio!!!!...Il piccolo...Ma lì aveva almeno 10 anni!!!!!!! Ebbe l'impressione che il suo cuore si stesse fermando. Altre foto. Suo figlio ancora piu grande...Forse vent'anni? Sua figlia...Ormai donna...E pure bionda??!!!!!! Di nuovo lui e sua moglie.....Anziani. Non ce la fece. Cadde sulle ginocchia ed iniziò a piangere. Un pianto di panico e disperazione. Di qualcuno che cercava aiuto. Un pianto violento. Non capiva più nulla. Che diavolo stava succeddendo? Era veramente fuori di testa? Aveva fuso il cervello? Pianse per diversi minuti. Quando smise era seduto a terra che si stringeva le braccia attorno alle spalle. Sconvolto e con gli occhi rossi. Disse a se stesso che doveva darsi una calmata e capire...Soprattutto capire. Tornò a sedersi sul divano. I casi erano due. O stava impazzendo oppure era in un altro tempo. Ritenne più verosimile la prima. Occorreva la controprova. Alzò il telefono e compose il numero del cellulare di sua moglie. Dopo un lungo silenzio rispose la registrazione che comunicava che l'utente non era raggiungibile. Ok...Ok...Calma. Suo fratello. Avrebbe chiamato suo fratello. Compose il numero. Attese uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Al quarto stava decisamente diventando nervoso. Prima del quinto sentì alzare la cornetta e una voce femminile sconosciuta rispose.
- Pronto? -
- Buonasera...Sono Riccardo...Desideravo parlare con Paolo...-
- Sempre a scherzare vero zio? -
- Prego?...-
- Zio....Ma che ti sei rimbambito?.....Sono Milena...Tua nipote...-
Sentì il sangue cristallizzarsi nelle vene.
- Milena...Ma tu...-
Che stava per dirle? Che secondo lui avrebbe dovuto avere cinque anni e che proprio ieri le aveva regalato il camper di Barbie?
- Scusa tesoro...E' che zio...E' un po' stanco...Non...Non...Ti avevo riconosciuta...-
- Non importa zio....Come stai?-
- Bene piccola...Senti...Il mio fratellone c'è? -
- Zio...Ma che mi stai prendendo per il culo ? -
-Io...No...Perché? -
- Mamma mia zio ma che te sei drogato?...Ma se li hai accompagnati ieri all'aeroporto!!-
-All'aeroporto...-
- Me fai paura zio...Sono a Londra. Sono andati con zia a trovare Simona e George e a vedere il college di Luca...Ma mi stai prendendo in giro?-
- Sì ...Cioè no...Scusa tesoro...Sono un po' rincoglionito...-
- Zio...Ma stai bene?...Guarda che ci metto 20 minuti a venire da te.-
-No...No...Sto bene tesoro...Grazie.....E' che...Ho confuso un po' ...-
- Sicuro?...Mi fai preoccupare. Ti sento così strano.-
- No...Tranquilla. Ora zio si fa una doccia e se ne va a dormire.-
- Sei sicuro? Giurami che stai bene.-
- Si tesoro...Sto bene...Non ti preoccupare. Ti chiamo domani.-
- Si. Ma qualsiasi cosa ti serva chiama subito ok?-
- D'accordo tesoro. Grazie. Ciao.-
- Ciao zio.-
Riagganciò con lo sguardo perso nel vuoto. Doveva ricostruire. Sua moglie a Londra con suo fratello. Per andare a trovare Simona che era sua figlia (e di questo ne era sicuro) e a vedere il college di Luca che era sua figlio (anche di questo era sicuro). Dunque suo figlio frequentava un college a Londra. La mattina Riccardo era uscito e aveva accompagnato Luca al nido...E la sera Luca frequentava un college a Londra. Per una attimo pensò di essere oggetto di qualche candid camera. Sua nipote ieri aveva cinque anni e oggi era una ragazza. Sono andati a trovare Simona e George a Londra. Simona forse vive a Londra? E soprattutto...Chi cazzo è sto George!!???? Scoppiò a ridere. Una risata che non aveva nulla di allegro. Una risata dirompente ed isterica. Si piegò sul divano con delle fitte al ventre. Rideva ma aveva la nausea. Non riusciva a fermarsi. Rideva a crepapelle. Fino a quando colpì il muro con un pugno così violento da far tremare la parete. Il dolore gli raggiunse il cervello e inibì la sua risata lasciando campo libero ai conati di vomito.
Uscì dalla doccia strofinando i capelli con un asciugamani. Percorse il corridoio fino al salotto e tornò a sedersi sul divano. Poco prima, nell'attraversare la sua abitazione, aveva notato altre differenze rispetto a quello che lui conosceva. Un altro letto. Nuove piastrelle al bagno. E altre cose del genere. Si stava quasi abituando a non riconoscere più ciò che lo circondava. Come non si era accorto che accanto al telefono c'era una segreteria telefonica che non c'era mai stata e che ora stava lampeggiando. Imprecò. Dovevano aver chiamato mentre era sotto la doccia. Cercò il tasto per ascoltare e quando lo trovò lo spinse. Sentì il fischio e subito dopo sentì un calore dolce nel petto provocato dall'ascoltare la voce di sua moglie.
- Ciao amore.....Stiamo tutti bene. Casa di Simona e George è un'amore e loro stanno benissimo. Il college di Luca è spettacolare e lui è molto contento....Li ho trovati proprio bene...Aspetta che sono qui te li passo.-
Sentì del rumore. Poi la voce...Oddio...La voce di Simona...Un pò diversa...
- Ciao papà...Ti volevo solo dire che sto benissimo e che ti voglio bene. Ti manda un abbraccio anche George che ti aspetta sempre per la sfida sui kart. Ciao papi...Aspè che Luca ti vuole...-
Nel sentire la voce adulta di suo figlio gli occhi si inumidirono.
- Vecchio tutto bene? Qui si sta una favola e manchi solo tu. Al college vado forte. Ti mando un bacio.....Ah.....Sai cosa ho trovato a Portobello?...Non ci crederai...I Bionicle...Te li ricordi?...Ti facevo impazzire a montarli...Ok...Un abbraccio papà...Ti ripasso mamma -
Certo che li ricordava i Bionicle...Ne aveva montato uno con lui la sera prima.
- Amore?....Ti saluta tuo fratello...Ci manchi lo sai? Quando torno magari facciamo quel viaggio in India che ci siamo promessi eh? Come la vedi?. Ti amo. A presto.-
Lo scatto della segreteria segnò la fine della telefonata. Aveva gli occhi bagnati di lacrime e lo sguardo perso nel nulla. Restò così per...Chi lo sa...Un'ora?
Prima di andare a sdraiarsi sul letto riascoltò il messaggio una trentina di volte sino ad impararlo quasi a memoria. Raccogliendo qualsiasi sfumatura. Percependo ogni intonazione, ogni loro stato d'animo. E concluse che erano felici, sereni. Quello che lui aveva sempre desiderato per loro. Non sapeva in quale incomprensibile disegno dell'esistenza era finito. Ma sapeva, era certo, che il progettista voleva fargli sapere che le cose erano a posto. Che Riccardo aveva fatto del suo meglio. E il suo meglio aveva portato a questo. Si sentiva sereno. Ora sapeva dove portava quel disegno. Sdraiato sul letto chiuse gli occhi e dormì come non aveva mai dormito in vita sua.
Il pomeriggio era luminoso. Il sole tiepido di primavera lo riscaldava. Il traffico di Roma impazziva. Riccardo, seduto al tavolino di un bar, sorseggiava la sua ultima birra. Guardò l'orologio. Era ora di muoversi. Si alzò lasciando una mancia spropositata al cameriere senegalese. Con passo lento ma deciso si avviò verso il ponte. Giunto all'incirca alla metà guardò il Tevere che scorreva sotto di lui. Decise che la posizione era buona. Guardò l'ora. Erano le 17.14. Si sentiva pronto. Salì sulla balaustra del ponte. Guardò per l'ultima volta Roma e considerò che era, come sempre, bellissima. Poi chiuse gli occhi ed attese con pazienza il momento.
La prima cosa che giunse ai suoi sensi fu l'odore. Quell'odore che una volta che hai sentito e respirato non puoi scordare. Subito dopo i suoni e i rumori. Aprì gli occhi. Una miriade di ragazzi stava correndo lungo il ponte passando velocemente sotto di lui. Cercò di non farsi distrarre da tutto quello che avrebbe voluto osservare. Doveva essere attento e tempestivo. Nel caos più totale, tra urla, gas lacrimogeni e sirene spiegate, Riccardo guardò nella direzione dalla quale proveniva la folla di studenti. I blindati della polizia erano già arrivati all'estremità del ponte e si erano schierati. In piedi sulla balaustra aveva un campo visivo perfetto e non veniva ostacolato dalla gente che fuggiva terrorizzata. Per un attimo fu preso dal timore di non farcela, ma impose a se stesso di stare calmo. Improvvisamente la vide. Nella coda del corteo allo sbando. Era proprio lei. Con la sua gonna larga e i capelli scompigliati dalla corsa. Riccardo ebbe l'istinto di andarle incontro ma si trattenne. Doveva essere rapido ma preciso. Attese che Doriana passasse sotto di lui. La seguì con lo sguardo cercando di osservare, con la coda dell'occhio, anche il movimento che c'era tra i poliziotti. Appena fu passata Riccardo saltò giù dalla balaustra e si mise a correre dietro di lei. Lui era molto più veloce. Sincronizzò la sua falcata con quella di lei. Sapeva che mancavano pochi secondi. Si accorse improvvisamente che Doriana rallentava per la stanchezza. Le fu subito dietro e le parlò con voce dolce ma ferma.
- Corri...Stai tranquilla ma corri. Ci sono io...-
Lei, nel pieno della corsa, voltò leggermente il viso per guardarlo. Riccardo notò quanto era giovane e quanto era spaventata. Le sorrise. E anche lei accennò una piega sulla bocca che, vista la situazione, Riccardo ritenne essere un sorriso di ringraziamento. Doriana accelerò la falcata mentre lui rallentò leggermente sempre coprendole la fuga. Aveva fatto un buon lavoro.
Lo sparò che udì era simile ad altri che aveva già sentito. Il colpo violento che urtò la sua schiena invece era una esperienza nuova. Come lo era il bruciore devastante che si impossessò del suo torace. Rallentò sino a fermarsi e cadde in ginocchio. Con la vista fuori fuoco vide che dei ragazzi, dall'altra parte del ponte, si erano fermati e urlavano contro la polizia. Tra loro vide Doriana. Impietrita dalla paura ma viva. Riccardo sorrise. 'Tranquilli ragazzi....Non lo sapete...Ma è tutto ok...' fu l'ultimo pensiero che il suo cervello formulò.
Era una fredda mattina di maggio e c'era poca gente. Ma lei, in quel giorno, non sarebbe mancata per nulla al mondo. In tutti quegli anni non era mai mancata. Posò il mazzo di fiori di campo sulla lastra di marmo. Suo marito e i suoi due figli erano leggermente dietro di lei. Con rispetto attesero che si raccogliesse un minuto. Quando si voltò si incamminarono tutti verso l'uscita. Il marito le cinse le spalle con il braccio.
- Stai bene? -
- Si amore...stavo solo pensando...-
- Cosa pensavi? -
- A come sarebbe stata la sua vita se non avesse salvato la mia.-
- Chi può dirlo Doriana...Ci vorrebbe una seconda occasione per saperlo.-
Roberto Fischetti
pubblicato il 03.08.2006 [Testo]